User:Berto/Relatività ristretta

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La relatività speciale o relatività ristretta è celebre teoria pubblicata nel 1905 da Albert Einstein allo scopo di superare le discrepanze fra il modo in cui venivano allora trattate le trasformazioni fra sistemi di riferimento inerziali nella meccanica newtoniana e nell'elettromagnetismo. L'aggettivo speciale (o ristretto) si riferisce al fatto che in questa teoria non vengono trattati gli effetti dell'accelerazione ed in particolare quelli dovuti alla forza di gravità. Nel 1914 Einstein pubblicò una generalizzazione della relatività ristretta al caso di sistemi accelerati nota come teoria della relatività generale.

Motivazioni storiche della relatività ristretta[edit]

La prima formulazione di una teoria scientifica della relatività è dovuta a Galileo Galilei che nel "Dialogo di Galileo Galilei sopra i due Massimi Sistemi del Mondo Tolemaico e Copernicano" (pubblicato nel 1632) notò che ha senso parlare di un moto uniforme (ovvero a velocità costante) e rettilineo solo in relazione ad un qualche punto convenzionalmente preso come fisso. Nel gergo della fisica questo punto fisso è chiamato sistema di riferimento.
Questa osservazione, che contraddiceva l'idea Aristotelica di moto assoluto, portò Galileo a formulare una serie di regole che permettevano di passare da un sistema di riferimento all'altro senza cambiare le leggi del moto. Questo insieme di regole è noto come relatività galileiana e fu alla base della formulazione della meccanica da parte di Isaak Newton.

Sebbene la meccanica newtoniana funzionasse incredibilmente bene quando si trattavano i fenomeni quotidiani di moto dei corpi solidi non sembrava in grado di descrivere le proprietà della luce. Newton formulò una teoria corpuscolare della luce che pareva spiegare molte delle sue proprietà in termini puramente meccanici ma non riusciva a dare ragione di fenomeni come la separazione dei colori da parte di un prisma o l'interferenza.
L'altra teoria della luce che venne sviluppandosi in quegli anni fu la teoria ondulatoria che venne basata sull'analogia con la propagazione delle onde meccaniche (suono, vibrazioni dei corpi rigidi ecc.). Tuttavia, così come le onde meccaniche, anche le onde luminose necessitavano, perché la teoria fosse coerente, un mezzo in cui propagarsi. Questo mezzo, che venne chiamato etere, poneva alcuni problemi teorici in quanto sembrava possedere proprietà contraddittorie come l'essere estremamente rigido, per spiegare l'alta velocità di propagazione della luce, ed allo stesso tempo impalpabile, per non rallentare il moto dei pianeti al suo interno.

Agli inizi del diciannovesimo secolo i fenomeni elettrici e magnetici allora noti vennero unificati da parte di James Clerk Maxwell e descritti tramite un insieme di equazioni, note come equazioni di Maxwell, che mostravano, tra le altre cose, come una particella carica sottoposta ad accelerazione producesse una radiazione elettromagnetica che venne identificata con la luce. All'interno di questa teoria, che ottenne tali e tenti successi nel descrivere i fenomeni elettromagnetici da non poter essere rigettata come falsa, la velocità della luce (indicata con c) compariva in maniera naturale come una costante senza alcuna connessione apparente con un particolare sistema di riferimento. L'interpretazione che ne venne data fu che c era la velocità della luce nel sistema di riferimento privilegiato in cui l'etere appariva fermo; misurare la velocità apparente della luce sulla terra avrebbe quindi portato a misurare la velocità relativa fra la terra e l'etere fornendo una prova, per quanto indiretta, dell'esistenza di questo mezzo impalpabile che veniva visto da molti scienziati come un'ipotesi ad hoc di difficile giustificazione. L'esperimento più famoso in questo senso fu quello di Michelson e Morley. Nonostante le controversie iniziali generate dalla pubblicazione dei risultati di questi esperimenti divenne ben presto evidente che, sperimentalmente, la velocità apparente della luce risultava essere indipendente dalla velocità dell'osservatore. Siccome le equazioni di Maxwell mostrano che c non può variare con la velocità della sorgente se ne deduce che la luce deve avere la stessa velocità in tutti i sistemi di riferimento inerziali.

Prima che Einstein formulasse la teoria della relatività Hendrik Lorentz ed altri scienziati avevano già notato che, se si applicava la relatività galileiana alle equazioni di Maxwell, si otteneva che le forze elettromagnetiche cambiavano a seconda dell'osservatore. Ad esempio era noto che una carica stazionaria genera solo un campo elettrico mentre una carica in moto uniforme produce anche un campo magnetico ma, essendo il concetto di stazionario o in moto uniforme dipendente dal particolare osservatore, misurazioni fatte da sistemi di riferimento inerziali diversi avrebbero visto forze diverse e quindi avrebbero visto le cariche muoversi secondo leggi diverse. Che le leggi della fisica possano cambiare a seconda di chi le osserva è un'ipotesi difficilmente accettabile e quindi Lorentz propose di sostituire le trasformazioni di Galileo con un 'altro insieme di equazioni per il passaggio da un sistema di riferimento inerziale all'altro (oggi note come trasformazioni di Lorentz) che avrebbero reso invarianti le leggi dell'elettromagnetismo per tutti gli osservatori inerziali. La teoria di Lorentz prevedeva che, attraversando l'etere, gli osservatori subissero una dilatazione dei tempi ed una contrazione delle lunghezze, tuttavia questa teoria ad hoc non aveva alcun reale fondamento fisico e venne pesantemente criticata (anche dallo stesso Lorentz).

Il lavoro di Einstein fu essenzialmente quello di derivare le complicate trasformazioni di Lorentz da un insieme di postulati generalmente accettabili e sperimentalmente verificabili e di studiare quali grandezze rimanessero invariate al cambiare di sistema di riferimento inerziale. Il titolo originale del suo lavoro era infatti Zur Elektrodynamik bewegter körper (sull'elettrodinamica dei corpi in movimento), fu Max Planck che suggerì il nome teoria della relatività.

I postulati della teoria della relatività ristretta[edit]

1. Il principio di relatività

Ogni teoria fisica deve essere matematicamente uguale per ogni osservatore inerziale ovvero la natura della realtà non può cambiare a seconda della velocità relativa dell'osservatore.

2. Invarianza della velocità della luce

La velocità della luce nel vuoto (c) è la stessa per ogni osservatore inerziale.


L'applicazione diretta di questi due postulati ad un semplice problema di cinematica permette di ricavare moltissime proprietà della relatività ristretta senza eccessive complicazioni matematiche. Pensiamo di avere una parete piana, rigida e riflettente di lunghezza indefinita e, parallela a questa, una piattaforma libera di muoversi in una data direzione a distanza fissa D dalla parete. Immaginiamo poi che sulla piattaforma ci sia un cannoncino capace di sparare una pallina a velocità u in direzione perpendicolare alla piattaforma stessa. Se pensiamo che sia la piattaforma che la pallina si muovano a velocità molto minori di quella della luce (questa non è una condizione particolarmente restrittiva, ci basta che la loro velocità non ecceda grandemente il milione di chilometri all'ora) allora la relatività galileiana è perfettamente adatta a descrivere il moto del sistema. Nel sistema di riferimento in cui la piattaforma è ferma la pallina si limiterà ad essere sparata verso la parete, a rimbalzare su di essa ed a ritornare sulla piattaforma. Il tempo complessivo necessario per compiere tutto il tragitto sarà . Se invece ci mettiamo in un sistema di riferimento dove la piattaforma si muove a velocità v parallelamente alla parete la relatività galileiana ci dice che la velocità apparente della pallina che noi vedremo sarà la somma vettoriale di u e di v. In pratica vedremo la pallina muoversi più velocemente (perché lanciata da una piattaforma in movimento) ed il tempo necessario alla pallina per compiere l'intero tragitto rimarrà invariato. Questo risultato è analogo a dire che il moto dell'osservatore non influisce sulla sua percezione del tempo e che tutti vedranno gli stessi eventi accadere nello stasso intervallo di tempo. Questo è il motivo che ci permette di misurare il tempo sul giro in una gara di automobilismo senza dover correre accanto alla macchina; in ogni caso il tempo misurato da noi è lo stesso che verrebbe misurato dal pilota.
Se invece pensiamo che il cannoncino sulla piattaforma spari, non una pallina, ma un impulso di luce allora possiamo vedere cosa succede ad applicare i postulati della relatività ristretta. Nel sistema di riferimento dove la piattaforma è ferma non ci sono differenza sostanziali: la luce si muoverà a velocità c verso la parete, ne verrà riflessa e ritornerà verso la piattaforma. Il tempo totale di percorrenza sarà . Mettendosi invece in un sistema di riferimento dove la piattaforma si muove con velocità v ci troviamo obbligati a tener conto del fatto che la velocità della luce deve essere c in tutti i sistemi di riferimento. La componente della velocità perpendicolare alla piattaforma sarà quindi data (per il teorema di pitagora) da ed il tempo necessario a compiere tutto il percorso sarà .
(urgono figure esplicative!)
Questa equazione ci dice che l'osservatore in movimento non misurerà, per questo evento, lo stesso tempo dell'osservatore fermo rispetto alla piattaforma, ma lo vedrà accadere in un tempo più lungo (dilatazione dei tempi).
Un'altra conseguenza del fatto che la velocità della luce non possa cambiare è che, in linea di principio, se la piattaforma si muovesse abbastanza velocemente questa potrebbe scappare via prima che la luce vi ritorni sopra. Questo porterebbe ad un paradosso perché l'osservatore solidale con la piattaforma (che la vede ferma) e l'osservatore che la vede in movimento vedrebbero due realtà diverse: infatti uno vedrebbe la luce rimbalzare e tornare esattamente nel punto da cui è partita mentre l'altro vedrebbe la luce mancare la piattaforma ed andarsene via. Paradossi di questo genere sono esplicitamente vietati dal primo postulato della relatività ristretta: la natura della realtà non può cambiare a seconda della velocità relativa dell'osservatore.
Perché entrambi gli osservatori vedano la luce ritornare esattamente sulla sorgente che l'ha emessa è necessario che l'osservatore in movimento veda, oltre che un tempo dilatato, anche una distanza contratta. Quello che si ottiene è che l'osservatore in movimento vedrà una distanza apparente pari a .

La massa e l'energia in relatività ristretta[edit]

Una conseguenza importante della relatività ristretta è che anche la massa vista da osservatori in moto fra loro è diversa. Chiamando la massa a riposo, ovvero la massa misurata da un osservatore che vede la massa immobile, si avrà che la massa vista dagli osservatori in movimento sarà data da dove è detto "fattore di Lorentz".
Questo fatto è la ragione per la quale la velocità della luce è la massima velocità raggiungibile. Infatti se pensiamo di avere un corpo fermo e di accelerarlo con una forza costante otteniamo, usando la seconda legge della dinamica di Newton, che ovvero

Il concetto di simultaneità in relatività ristretta[edit]

Dato che osservatori diversi in moto relativo fra loro misureranno intervalli di tempo diversi due eventi che appaiono simultanei ad uno di loro potrebbero non esserlo per gli altri.