Museo Egizio/Contesto e contesto legale

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Il progetto di collaborazione tra il Capitolo italiano di Creative Commons, Wikimedia Italia e il Museo Egizio di Torino nasce dall’esigenza condivisa di promuovere e valorizzare le politiche di open access presso le istituzioni GLAM italiane, ponendo attenzione al corretto utilizzo degli strumenti per il pubblico dominio e delle licenze per il diritto d’autore, messi a disposizione da Creative Commons, compatibili con la filosofia della condivisione aperta.

Premessa: Nascita e finalità del progetto[edit]

Il Museo Egizio di Torino[edit]

Il Museo Egizio di Torino[1] è il più antico museo, a livello mondiale, interamente dedicato alla civiltà nilotica ed è considerato, per valore e quantità dei reperti, il più importante al mondo dopo quello del Cairo[2]. Oltre ad essere una delle più rilevanti istituzioni GLAM italiane, il Museo Egizio è uno dei pochi esempi virtuosi che hanno adottato politiche di open access in Italia, rilasciando già parte della propria collezione in formato digitale con licenza CC BY.

Proprio dalla scelta del museo di applicare una licenza CC BY anche alle riproduzioni digitali fedeli di materiali in pubblico dominio (invece degli strumenti Creative Commons appositamente pensati per il pubblico dominio[3]), è nata l’idea di contattare la predetta istituzione per coadiuvarla sulle questioni che derivano dall'applicazione delle licenze e degli strumenti Creative Commons e sostenere nella scelta e nel corretto utilizzo degli stessi.

Struttura della collaborazione e azioni[edit]

L’obiettivo condiviso dal Capitolo italiano di Creative Commons, Wikimedia Italia e il Museo Egizio è quello di rendere disponibili i contenuti e le riproduzioni digitali della collezione del museo con gli strumenti e le licenze compatibili con l’open access, ma al contempo adatti alle diverse tipologie di contenuti e materiali condivisi.

In tal senso, il progetto prende le mosse dalla creazione di un data management plan, finalizzato all’analisi specifica di ogni singolo contenuto e materiale del museo già pubblicato sulle pagine del sito o ancora in attesa di essere digitalizzato e/o pubblicato, e all’individuazione dello strumento più corretto per il rilascio delle riproduzioni digitali delle collezioni e di altro materiale[4] in open access. È definita una strategia di riuso dei contenuti con l'identificazione degli stakeholders e del potenziale impatto.

Il progetto è strutturato in una serie di attività organizzate in tre fasi e prevede anche un’importante e intensa attività di formazione del personale museale in materia di diritto d’autore e open access, al fine di fornire ai diretti interessati gli strumenti conoscitivi in materia e all’istituzione la possibilità di portare avanti consapevolmente tali politiche, anche dopo la fine dell’esperienza del progetto in corso. Sono inoltre definite delle strategie per l'adozione di software e protocolli liberi.

Ulteriore aspetto da valorizzare è quello concernente l’impatto delle politiche di open access dal punto di vista della ricerca e, nello specifico, del ruolo che il museo può assumere quale polo di riferimento anche a livello internazionale. In tal senso, una delle future connessioni prospettabili dal piano di lavoro riguarda il coinvolgimento della DARIAH[5], ma soprattutto del template "The Heritage data reuse charter"[6], nonché di risorse provenienti dall’ambito universitario come i FAIR data per dare un respiro più ampio all’intera iniziativa.

Il Museo Egizio come caso di studio[edit]

Il progetto intende dare vita ad un vero e proprio caso di studio, replicabile anche in altri contesti, nazionali e internazionali, da parte degli istituti culturali che intendono adottare politiche di open access per la divulgazione e il riuso delle riproduzioni digitali delle loro collezioni e, più in generale, applicare la condivisione libera in modo organico e sistematico su tutte le tipologie di contenuti da rilasciare.

Lo studio analizza approfonditamente l’esperienza del Museo Egizio fornendo al contempo una prospettiva sulle strategie future da implementare e sull’impatto che le politiche di open access possono avere sull’attività del museo.

Dall’esperienza riscontrata tra gli addetti ai lavori, infatti, sembra emergere l’esigenza di avere dati ed informazioni specifici su realtà già collaudate che possano incentivare e sostenere le iniziative di altri enti culturali nel territorio italiano. La creazione di un case study, quindi, che coinvolge una delle istituzioni italiane più influenti e rilevanti non può far altro che stimolare il dibattito e fornire un supporto pratico e teorico alla diffusione dell’open culture in Italia e nel mondo.

D’altro canto, il progetto è anche l'occasione per costruire una vera e propria campagna di comunicazione e promozione dell’iniziativa del museo in tema di condivisione libera, che sia in grado di raggiungere il grande pubblico ed aumentare la fruizione delle immagini rilasciate dall’ente con licenze e strumenti Creative Commons compatibili con l’open access.

L’ordinamento italiano e il contesto legale di riferimento[edit]

Per comprendere il contesto in cui si muovono le istituzioni GLAM italiane è fondamentale approfondire le diverse stratificazioni legislative con le quali devono relazionarsi qualora intendano adottare politiche di open access.

In Italia la materia del diritto d’autore è disciplinata in via principale dalla Legge 22 aprile 1941, n. 633[7], indicata di seguito come L.d.a. La norma individua come oggetto della protezione le “opere dell’ingegno di carattere creativo”, accordando loro protezione dal momento stesso della creazione senza la necessità di alcun tipo di formalità (art. 8 L.d.a.).

I diritti dell’autore si dividono in diritti morali e diritti patrimoniali.

Diritti morali e patrimoniali[edit]

I diritti morali (artt. 20 e ss. L.d.a.) nascono con l’intento di salvaguardare la personalità dell’autore e il rapporto di stretta connessione che lo lega all’opera, e sono il diritto di paternità, di integrità dell’opera, di inedito e di ritiro dell’opera dal commercio. L’autore, quindi, potrà rivendicare l’attribuzione della paternità e la sua comunicazione nelle forme d’uso, nonché opporsi a qualunque modificazione, deformazione o mutilazione dell’opera che possa pregiudicare il suo onore e la sua reputazione in qualità di creatore. Potrà scegliere se e quando pubblicarla e, a determinate condizioni, decidere di ritirarla dal commercio, salvo indennizzo[8].

I diritti morali sono inalienabili (non possono essere ceduti o venduti), irrinunciabili ed imprescrittibili (possono essere esercitati senza limiti di tempo)[9].

Si evidenzia a tal proposito che le sei licenze Creative Commons prevedono tutte l’attribuzione della paternità (indicata dalla formula “BY”) in rispetto della disciplina dei diritti morali, che dunque possono essere sempre esercitati dall’autore o dai suoi eredi secondo le modalità previste dalla legge[10]. I diritti morali permangono anche se l’opera è entrata in pubblico dominio e la sua riproduzione è rilasciata con CC0 o PDM.

I diritti patrimoniali (artt.12 e ss. L.d.a.), invece, attengono all’utilizzazione ed allo sfruttamento economico dell’opera. Sono il diritto di pubblicare, riprodurre, trascrivere, eseguire, rappresentare o recitare in pubblico, comunicare e mettere a disposizione del pubblico, distribuire, tradurre, elaborare, modificare, dare in prestito o in noleggio[11].

A differenza dei diritti morali, sono alienabili (possono essere venduti), cedibili e hanno una durata di 70 anni dopo la morte dell’ultimo degli autori (quando l’opera entra nel regime del pubblico dominio). I diritti di utilizzazione economica sono l’oggetto delle licenze Creative Commons e l’autore, attraverso le diverse tipologie di licenza, può scegliere le condizioni della concessione[12].

Diritti connessi[edit]

Agli articoli 72 e seguenti, sono disciplinati i cosiddetti diritti connessi. Trattasi di diritti “collegati” al diritto d’autore, che riguardano cioè soggetti che in modo diverso hanno un ruolo importante rispetto all’opera[13].

Per ciò che rileva ai fini dell’adozione di politiche open access da parte degli istituti GLAM, si sottolinea che l’art. 88 della legge sul diritto d’autore attribuisce al fotografo una serie di diritti esclusivi, con durata ventennale, (diritto esclusivo di riproduzione, diffusione e spaccio) sulle fotografie cosiddette “semplici” (quelle cioè che non possono essere identificate come vere e proprie opere dell’ingegno), definite dall’articolo 87 L.d.A. come “le immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale e sociale, ottenute col processo fotografico o con processo analogo, comprese le riproduzioni di opere dell’arte figurativa e i fotogrammi delle pellicole cinematografiche”.

I diritti connessi sulla fotografia semplice, però, devono considerarsi in parte abrogati dall’art 14 della Direttiva EU/2019/790 (recepita in Italia con il Decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 177), che di fatto sancisce il principio per cui il materiale derivante dalle riproduzioni fedeli, e quindi non creative, di opere delle arti visive in pubblico dominio non è soggetto al diritto d’autore e al diritto connesso.

Normativa sulla tutela dei beni culturali[edit]

Oltre alla disciplina strettamente legata al diritto d’autore e ai diritti connessi, in Italia esiste una normativa di carattere pubblicistico che attiene alla tutela dei beni culturali: il Codice dei beni culturali (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42). Esso disciplina i beni culturali intesi quali “le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico”. Tali “cose immobili e mobili”, indicate all'articolo 10, comma 1, che siano opera di autore non più vivente (quindi, cadute in pubblico dominio) e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni, sono sottoposte (di default) alle disposizioni del Codice, fino a quando non sia stata effettuata la verifica di cui al comma 2 dell’art. 12 (“Verifica dell'interesse culturale”). I competenti organi del Ministero, d'ufficio o su richiesta formulata dai soggetti cui le cose appartengono e corredata dai relativi dati conoscitivi, verificano, a posteriori, la sussistenza dell'interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico nelle cose di cui al comma 1, sulla base di indirizzi di carattere generale stabiliti dal Ministero medesimo al fine di assicurare uniformità di valutazione (comma 2). Nel caso in cui, nelle cose sottoposte a verifica non sia stato riscontrato l'interesse di cui al comma 2, le cose medesime sono escluse dall'applicazione delle disposizioni del Titolo in esame.

In base ai successivi articoli 107 e 108 del codice dei beni culturali, il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono consentire la riproduzione nonché l'uso strumentale e precario dei beni culturali che abbiano in consegna. I canoni di concessione ed i corrispettivi connessi alle riproduzioni di beni culturali sono determinati dall'autorità che ha in consegna i beni. In base all’articolo 108 (Canoni di concessione, corrispettivi di riproduzione, cauzione), i canoni di concessione ed i corrispettivi connessi alle riproduzioni di beni culturali sono corrisposti, di regola, in via anticipata e determinati dall'autorità che ha in consegna i beni tenendo anche conto:

a) del carattere delle attività cui si riferiscono le concessioni d'uso;
b) dei mezzi e delle modalità di esecuzione delle riproduzioni;
c) del tipo e del tempo di utilizzazione degli spazi e dei beni;
d) dell'uso e della destinazione delle riproduzioni, nonché dei benefici economici che ne derivano al richiedente.

A seguito di una modifica legislativa del 2014 e poi del 2017[14], la disciplina della riproduzione dei beni culturali ha subito un allentamento delle maglie verso una maggiore liberalizzazione. Attualmente nessun canone è dovuto per le riproduzioni richieste o eseguite da privati per uso personale o per motivi di studio, ovvero da soggetti pubblici o privati per finalità di valorizzazione, purché attuate senza scopo di lucro. I richiedenti sono comunque tenuti al rimborso delle spese sostenute dall'amministrazione concedente. Sono in ogni caso libere le seguenti attività, svolte senza scopo di lucro, per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale:

1) la riproduzione di beni culturali diversi dai beni archivistici sottoposti a restrizioni di consultabilità ai sensi del capo III del presente titolo, attuata nel rispetto delle disposizioni che tutelano il diritto di autore e con modalità che non comportino alcun contatto fisico con il bene, né l'esposizione dello stesso a sorgenti luminose, né, all'interno degli istituti della cultura, l'uso di stativi o treppiedi;

2) la divulgazione con qualsiasi mezzo delle immagini di beni culturali, legittimamente acquisite, in modo da non poter essere ulteriormente riprodotte a scopo di lucro.

Nei casi in cui dall'attività in concessione possa derivare un pregiudizio ai beni culturali, l'autorità che ha in consegna i beni stessi determina l'importo della cauzione, costituita anche mediante fideiussione bancaria o assicurativa. Per gli stessi motivi, la cauzione è dovuta anche nei casi di esenzione dal pagamento dei canoni e corrispettivi.

La cauzione è restituita quando sia stato accertato che i beni in concessione non hanno subito danni e le spese sostenute sono state rimborsate.

Gli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per l'uso e la riproduzione dei beni sono fissati con provvedimento dell'amministrazione concedente.

A ben vedere, ai sensi degli artt. 107-108 del D. Lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) è libera la riproduzione del bene culturale per finalità diverse dal lucro, mentre è soggetta ad autorizzazione e all’eventuale pagamento di canone di concessione l’uso dell’immagine per fini lucrativi. L’ente pubblico proprietario del bene potrà comunque decidere, legittimamente, nell’ambito della sua discrezionalità, di rilasciare in rete immagini dei beni culturali di sua proprietà con licenze di libero riutilizzo.

In conclusione, in Italia, l’adozione di politiche di open access da parte delle istituzioni GLAM deve tenere necessariamente conto di tre livelli di protezione: diritto d’autore, diritti connessi e codice dei beni culturali. Tale impostazione giuridica rende molto spesso complessa l’adozione di approcci aperti da parte delle istituzioni, che frequentemente non hanno una formazione giuridica in grado di coadiuvarle in tale processo decisionale. In un contesto così stratificato, assume poi particolare importanza l’individuazione dello strumento specifico per ogni tipologia di contenuto da rilasciare, in un’ottica di corretta scelta ed applicazione degli strumenti e delle licenze Creative Commons al caso concreto.

Peculiarità della struttura giuridica del Museo Egizio e dei rapporti con il Ministero[edit]

Il Museo egizio ha una posizione peculiare nel contesto giuridico italiano.

Il museo, infatti, fa capo alla Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino, costituita Il 10 ottobre 2004 a Torino. I soci fondatori sono il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, la Regione Piemonte, la Provincia di Torino (recessione avvenuta in data 01/01/2015), la Città di Torino, Compagnia di San Paolo e Fondazione CRT. “La Fondazione, il cui scopo è “la valorizzazione, promozione, gestione e adeguamento strutturale, funzionale ed espositivo del Museo, dei beni culturali ricevuti o acquisiti a qualsiasi titolo e la promozione e valorizzazione delle attività museali”, gode degli apporti patrimoniali ed economici ad essa destinati dai suoi fondatori: collezione ed immobile, un fondo di dotazione ordinario (quinquennale inizialmente, poi annuale) oltre che un fondo di scopo pari a 50 milioni di euro per il progetto di ristrutturazione e riallestimento del Museo”. La Fondazione presenta delle caratteristiche che la rendono un esempio della partecipazione del privato alla gestione del patrimonio culturale pubblico. La Fondazione ha una natura mista pubblico/privato, è fortemente radicata sul territorio (grazie alla partecipazione di enti e fondazioni bancarie locali), ed ha autonomia decisionale e di budget[15].

Proprio grazie a questa autonomia, la Fondazione può fare scelte indipendenti che, seppure nel rispetto del Codice dei beni culturali, le consentono ancor di più di azzerare i canoni e rilasciare le riproduzioni digitali delle opere in modalità open.

Argomenti da approfondire[edit]

  • Questioni interpretative dubbie: applicazione dell’art. 14 anche ad opere non dell’arte visiva; applicazione dell’art. 14 anche in relazione all’esclusione delle norme del codice dei beni culturali; rischio di danno erariale per l'applicazione di un canone zero.
  • Attribuzione dell’istituzione anche in presenza di CC0.

Note[edit]

  1. https://museoegizio.it/
  2. Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Museo_egizio_(Torino)
  3. Al fine di incentivare l’utilizzo di CC0 da parte del settore GLAM per materiali in pubblico dominio non a carattere creativo, CC Italia ha promosso un’iniziativa presso il CCGN al fine di realizzare una sorta di CC0 utilizzabile dal settore GLAM pubblico, ove riportare le indicazioni sulla provenienza e le altre informazioni sul materiale in pubblico dominio, affinché le stesse possano circolare insieme alla riproduzione digitale ed essere adottate come una buona pratica da incentivare presso tutti.
  4. Ad esempio, testi generici, immagini del museo e di eventi, contenuti informativi, atti dei convegni, schede tecniche della collezione esposta nel museo, guide, atti e documenti di ricerca ecc.
  5. The Digital Research Infrastructure for the Arts and Humanities https://www.dariah.eu/
  6. Template: https://datacharter.hypotheses.org/charter-templates. Con riferimento alla pubblicazioneErzsébet Tóth-Czifra, Laurent Romary. The Heritage Data Reuse Charter: from principles to research workflows. 2020. ⟨halshs-02475692⟩; Toma Tasovac, Sally Chambers, Erzsébet Tóth-Czifra. Cultural Heritage Data from a Humanities Research Perspective: A DARIAH Position Paper. 2020. ⟨hal-02961317⟩
  7. https://www.siae.it/sites/default/files/BG_Normativa_LeggeDirittoAutore.pdf
  8. Creative Commons Certificate for Educators, Academic Librarians and GLAM, Unit 2: Copyright Law, Appendix: Country Case study, CC BY 4.0.
  9. Creative Commons Certificate for Educators, Academic Librarians and GLAM, Unit 2: Copyright Law, Appendix: Country Case study, CC BY 4.0.
  10. Creative Commons Certificate for Educators, Academic Librarians and GLAM, Unit 2: Copyright Law, Appendix: Country Case study, CC BY 4.0.
  11. Creative Commons Certificate for Educators, Academic Librarians and GLAM, Unit 2: Copyright Law, Appendix: Country Case study, CC BY 4.0.
  12. Creative Commons Certificate for Educators, Academic Librarians and GLAM, Unit 2: Copyright Law, Appendix: Country Case study, CC BY 4.0.
  13. Creative Commons Certificate for Educators, Academic Librarians and GLAM, Unit 2: Copyright Law, Appendix: Country Case study, CC BY 4.0.
  14. D.L. 31 maggio 2014, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2014, n. 106 e Legge 4 agosto 2017, n. 124.
  15. https://museoegizio.it/chi-siamo/

Crediti[edit]

  • Deborah De Angelis, autrice del testo

in collaborazione con Iolanda Pensa per il caricamento e la revisione.